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L'cona dell'Addolorata
L'cona dell'Addolorata

 

 

L’icona della Vergine addolorata

ci spinge ad adottare «soluzioni di vita» là dove il dolore imperversa

L’icona della Vergine addolorata ci è di stimolo e guida per avvicinarci al mistero del dolore e della morte con una visione di fede, che proietta su di esso una luce di vita. Nei confronti di tale mistero infatti non abbiamo spiegazioni razionali da offrire, solo un’esperienza di fede da proporre: la Pasqua di Cristo, la morte inghiottita dalla vita (cf. 1 Cor 15, 54), la sicurezza che Dio nella sua condiscendenza trasforma «la pena del dolore in strumento di salvezza». Maria visse quell’esperienza accanto al Figlio. Perciò la pietà mariana ci apre alla speranza e ci spinge ad adottare «soluzioni di vita», anche là dove il dolore imperversa e la morte apre i suoi varchi.

 

 

 Dai Sette Dolori di Maria a tutto il dolore del mondo

La meditazione secolare sui Sette Dolori della beata Vergine potrà convertirsi facilmente in termini di attualità, qualora si ponga a confronto con le sofferenze molteplici da cui è segnata la vita, oggi. Il numero sette, si sa, è simbolo di totalità. Potremmo quindi elaborare una specie di «settenario» contemplativo che, facendo eco ai Sette Dolori di santa Maria, comprenda ogni genere di tribolazione, nel corpo e nello spirito.

Così, in virtù principalmente della nostra identità cristiana, accetteremo di essere noi stessi un’esistenza attraversata dalla spada del dolore. Al seguito di Gesù, prenderemo ogni giorno la nostra croce (Lc 9, 23; cf. Mc 8, 34; Mt 16, 24).

Sensibili al dramma di innumerevoli persone e gruppi costretti a migrare da paesi poveri verso nazioni più ricche, in cerca di pane o di libertà, metteremo in salvo la vita da ogni forma di persecuzione e offriremo il nostro contributo fattivo all’accoglienza degli emigrati. La Vergine, esperta di tale angustia assieme a Giuseppe e al Bambino, guidi il cuore e la mente di noi, suoi servi e serve, ad aprire anche la porta delle nostre case.

In presenza di quanti, nell’incertezza del vivere, sospirano il volto del Signore o sono nell’angoscia per averlo smarrito, siano le nostre comunità luoghi che sostengano la loro faticosa ricerca. Divengano santuari di consolazione per i tanti papà e mamme che, desolati, piangono la perdita fisica o morale dei loro figli.

Compartecipi di un medesimo itinerario di fede, accompagneremo i nostri fratelli e sorelle sulla via del loro Calvario: con gesti di delicatezza (come la Veronica), o portando il loro peso (come il Cireneo).

Venendo a contatto di coloro che vivono la propria ora di passare da questo mondo al Padre, vorremmo essere una presenza che infonde perseveranza nel dolore, affinché il chicco di grano caduto in terra e dissolto produca molto frutto (cf. Gv 12, 24).

Quando la luce della giornata terrena è assorbita dalle ombre della morte, ognuno di noi si faccia grembo della vita distrutta dalla malattia, dalla disgrazia, dall’odio ... Quel corpo risorgerà, perché «... le misericordie del Signore non sono finite ... per questo in Lui voglio sperare» (Lam 3, 22. 24).

E dinanzi alla gelida realtà del sepolcro, ove tutto sembra irrimediabilmente perduto, ravviveremo la fiamma della speranza. La tomba si configura come il grembo della terra-madre. Lì lo Spirito del Signore -come già nel seno di Maria, la Donna-Madre- susciterà la vita nuova. Col Cristo Risorto canteremo allora: «[Tu, Signore] non abbandonerai la mia vita nel sepolcro ... Mi indicherai il sentiero della vita ... mi colmerai di gioia con la tua presenza» (At 2, 27. 28; cf. Sal 17 (16), 10. 11).